L’emittente televisiva statunitense CNN li definisce:
“Giovani, urbani, e acculturati, ecco gli afropolitans: la nuova generazione di africani e persone con discendenza africana e una prospettiva molto globale
Ma chi sono realmente? Ne faccio parte anch’io? E’ una semplice etichetta che serve ad identificare la diaspora africana nel mondo oppure è un movimento che può essere accostato a quello che viene definito pan-africanismo?
Nella websfera il tema si fa caldo e sono gli “afropolitan” stessi a voler dare una definizione ben precisa di questa terminologia, ed ogniuno mette in evidenza il proprio punto di vista.
Se sei nato e cresciuto in un paese completamente diverso rispetto a quello dei tuoi genitori africani allora si sei un “Afropolitan”.
Siamo la nuova generazione di africani, che nella propria carta d’identità, nella parte in cui c’è scritto cittadinanza, dovrebbe esserci quella del paese in cui sei nato o vissuto nella maggior parte della tua esistenza, ma psicologicamente facciamo parte di quel gruppo d’individui che si sentono divisi tra due mondi completamente diversi ma che allo stesso tempo hanno trovato il modo di convivere con la loro eredità africana in età contemporanea e la società di cui fanno parte.
Taiye Selasi |
A partire da lei ora il termine “afropolitan” si è diffuso, e non viene utilizzato solo dagli hipsters di New York o quelli che vivono nelle capitali europee alla moda ma viene utilizzato anche nelle città multiculturali dell’Africa.
Ma non tutti sono d’accordo, alcuni puristi della cultura africana disprezzano il termine, altri come Emma Dabiri che con l’articolo “Way I’m not an Afropolitan” pubblicato sulla rivista online “Africa is a country” ci fa notare che se digitiamo la parola -afropolitan- escono quasi esclusivamente siti di shopping online o riviste di moda lussuose , per lei afropolitismo è troppo patinato, è troppo stile corporate, un fenomeno che produce solo opere che non sono altro che versioni africane di quelle americane ed europee…ma infin dei conti “l’afropolismo è, per natura, connesso alla vita urbana e alle differenze di classi, e questo è il fattore più critico e destabilizzante per gli africani” dichiara Minna Salami, autrice del blog “Ms Afropolitan”.
La mia opinione a riguardo? Molto vicino al pensiero di Minna Salami, che descrive nel suo blog questo termine non solo come un’identità ma sopratutto come unacondizione psicologica , uno spazio concettuale in cui la nuova generazione di africani si pongono interrogativi e generano risposte attraverso gli strumenti e le sfumature della globalizzazione, uno spazio in cui ci si occupa di cambiamento sociale, culturale, e politico, un movimento simile o sinergico al “pan- africanismo”, formato in gran parte da persone che hanno le condizioni e il tempo per idealizzare, meditare (le persone che stanno lottando per il cibo, o in fuga da guerre, o alle prese con altre strutture invalidanti, purtroppo raramente hanno il lusso di discutere l’ideologia, il femminismo, il marxismo, il socialismo ecc) e discutere sulle diverse e possibili soluzioni verso l’eliminazione della povertà attraverso nuovi modelli e sistemi, attraverso la mente razionale (diffusione, discussione, interpretazione); lo spirito subconscio (arte, la cultura, la mitologia, la moda, poesia, estetica); e l’animus – motivazione all’azione.
Quindi alla fine posso affermare che psicologicamente mi sento afropolitan, ma nello specifico qualcuno ama definirmi un’afroitaliana o italiana nera, ma questa rappresenta un altro dibattito, un’altra storia e sicuramente un’altro post, ma personalmente amo essere semplicemente Anita dalla “Pelle baciata dal sole”tutto l’anno…ma molto baciata dal sole!!!Lol!!
Scritto da: Anita Onakpovhie -Founder/CEO Women for the future
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Fotografie di: Mari Donadio- style e home editor
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